Regime degli Impatriati, bisogna far riferimento al periodo di imposta pre impatrio
- 03/03/2025
- Posted by: nicolaforner
- Categoria: Strumenti di protezione e pianificazione patrimoniale, Wealth Management

Due importanti chiarimenti, offerti dall’agenzia delle entrate (risp. interpello n. 41/2025 e risp. interpello n. 53/2025) hanno affermato che per poter applicare il regime degli impatriati bisogna far riferimento al lavoro svolto nel periodo di imposta pre impatrio in Italia.
Regime degli Impatriati, bisogna far riferimento al periodo di imposta pre impatrio: la normativa
L’art. 5, D. Lgs 209/2023, disciplina il nuovo regime agevolativo a favore dei lavoratori impatriati che si applica ai contribuenti che trasferiscono, dal periodo di imposta 2024, la residenza in Italia, ai sensi dell’articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al Dpr 917/1986.
Il comma 1 dell’art. 5 dispone che “i redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, i redditi di lavoro autonomo derivanti dall’esercizio di arti e professioni prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 2 del Tuir, entro il limite di 600.000 euro concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50 per cento del loro ammontare, al ricorrere delle seguenti condizioni:
- I lavoratori si impegnano a risiedere fiscalmente in Italia per un periodo di tempo corrispondente a quello di cui al comma 3, secondo periodo (i.e. almeno quattro anni);
- I lavoratori non sono stati fiscalmente residenti in Italia nei tre periodi di imposta precedenti il loro trasferimento. Se il lavoratore presta l’attività lavorativa nel territorio dello Stato in favore dello stesso soggetto presso il quale è stato impiegato all’estero prima del trasferimento, oppure in favore di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo, il requisito minimo di permanenza all’estero è di:
- Sei periodi di imposta, se il lavoratore non è stato in precedenza impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto, oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo;
- Sette periodi di imposta, se il lavoratore, prima del suo trasferimento all’estero, è stato impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo;
- L’attività lavorativa è prestata per la maggior parte del periodo di imposta nel territorio dello Stato;
- I lavoratori sono in possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione come definiti dal decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 108 e dal decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206.
Il comma 4 e il comma 5 del citato articolo 5 stabiliscono che la base imponibile “(…) è ridotta al 40 per cento nei seguenti casi:
- Il lavoratore si trasferisce in Italia con un figlio minore;
- In caso di nascita di un figlio ovvero di adozione di un minore di età durante il periodo di fruizione del regime di cui al presente articolo. In tale caso il beneficio di cui al presente comma è fruito a partire dal periodo di imposta in corso al momento della nascita o dell’adozione e per il tempo residuo di fruibilità dell’agevolazione (…)”.
La riduzione al 40 per cento della base imponibile è subordinata alla condizione che (…) durante il periodo di fruizione del regime da parte del lavoratore, il figlio di minore età, ovvero il minore adottato, sia residente nel territorio dello Stato” .
Regime degli Impatriati, bisogna far riferimento al periodo di imposta pre impatrio: il quesito posto dall’istanza n. 41/2025 e 53/2025
I quesiti posti nelle istanze, in parte collegati tra loro, vertono sul concetto di residenza estera prima del reimpatrio in Italia.
Nell’interpello n. 41/2025, https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/documents/20143/8473268/Risposta+n.+41_2025.pdf/a488acd8-773a-b715-02aa-7ef1df9f14a6, il contribuente chiedeva se poteva beneficiare del regime di cui sopra, scontato un periodo di imposta di sei anni di residenza estera anziché sette, in quanto prima dell’espatrio, avvenuto nel corso del 2018, aveva lavorato con più datori di lavoro, il cui ultimo in ordine cronologico, non era coincidente con lo stesso datore per cui aveva lavorato all’estero e quello per cui voleva continuare a lavorare in Italia post reimpatrio (2025).
In sostanza la situazione può essere sintetizzata graficamente così

L’agenzia, avvalla la soluzione adottata dal contribuente (minor termine di 6 anni anziché 7 di permanenza estera) in quanto non c’è coincidenza tra datore di lavoro per il quale il lavoratore è stato impiegato in Italia nel periodo immediatamente precedente il trasferimento estero (espatrio) e quello presso il quale inizierà lavorare dopo il trasferimento in Italia (impatrio); la circostanza per cui il datore di lavoro B fosse un soggetto non rientrante nello stesso gruppo di apparenza del datore di lavoro A, nel periodo immediatamente precedente all’espatrio, avrebbe il pregio di far beneficiare al lavoratore del minor periodo di permanenza estera (6 anni anziché 7) ai fini di poter accedere alla normativa di cui all’art 5 D.L. 203/2023.
Diversamente, nell’istanza n. 53/2025, https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/documents/20143/8473268/Risposta+n.+53_2025.pdf/56473d48-9582-5895-59fe-a628a3756c25?t=1740737957710, il contribuente avanzava una duplice richiesta:
– la prima, se poteva applicare l’agevolazione in commento e quale fosse stato il periodo minimo di residenza estera (se tre anni, sei anni o sette anni) laddove il lavoratore avesse interrotto medio tempore il proprio rapporto di lavoro con il datore di lavoro estero e, quindi, non vi fosse stata continuità tra il rapporto di lavoro svolto all’estero e quello successivamente svolto in Italia;
– la seconda, se nell’ipotesi in cui entrambi i genitori fossero intenzionati a richiedere la maggiorazione dell’esenzione di cui al comma 4, lett. a), art. 5, D.Lgs 209/2023 (i.e. 40 al cento della base imponibile in caso di residenza italiana del figlio naturale o adottivo), la riduzione possa essere applicata a tutti e due.
La situazione, per una migliore comprensione, viene rappresentata graficamente

L’agenzia nel rispondere alla prima parte del quesito ritiene che la continuità tra datore estero debba avere come parametro di valutazione l’anno antecedente l’espatrio/impatrio del lavoratore, a nulla rilevando se per un breve periodo infrannuale lo stesso rompa la catena della “continuità” del rapporto di lavoro con il datore di lavoro estero per intraprendere l’attività di lavoro autonomo.
Per quanto riguarda la seconda parte del quesito l’Agenzia richiama il contenuto della disposizione ribadendo che “(…) in assenza di ulteriori limiti specifici riguardo la spettanza della riduzione ad uno solo dei genitori la stessa può essere applicata, nel rispetto di ogni altra condizione posta dalla norma, ad entrambi i genitori(…)”.
Conclusioni
Se da una parte, probabilmente l’amministrazione finanziaria intende cautelarsi da possibili elusioni della norma che possono astrattamente darsi spazio spezzando la catena da estero a Italia con brevi occupazioni extra gruppo, dall’altra con le risposte di cui sopra “introduce” il vincolo temporale dell’anno, non previsto dalla norma, per valutare la continuità o meno del rapporto di lavoro con il precedente datore di lavoro ai fini del rispetto del maggior termine di 7 anni (anziché 6) di permanenza estera.
La conclusione pare in antitesi rispetto alla risposta fornita dall’Agenzia (nr. 53/2025) relativamente alla richiesta del contribuente di beneficiare della maggiorazione dell’esenzione per tutti i due genitori al verificarsi delle condizioni previste dalla norma ( i.e. comma 4, lettera a), art. 5, D.Lgs 209/2023): l’agenzia ammette la possibilità ad entrambi i genitori di beneficiare dell’esenzione in quanto la norma non “(…)introduce ulteriori limiti specifici(…)”.
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